Con Marina il Velino torna sempre di moda e quando si ricomincia a parlarne vuol dire che è da tempo che sente il bisogno di tornarci, la
sua per queste montagne è passione vera.
Battuto in lungo e in largo per tutto il periodo che siamo stati a Roma volevo pensare a qualche sentiero per lei nuovo, non era facile ma
dal momento che voleva tornare sul Magnola mi è venuta in mente la Costa dei Vecchi, una traccia che seguii tantissimo tempo fa e che mi ha
lasciato un ricordo leggero e piacevole di grandi panorami e di una bella linea di salita.
La piana dell’Aquila è sotto una fitta coltre di nebbia, salendo ai piani delle Rocche e prima di arrivarci usciamo dalle nuvole e ci viene
regalato un panorama mozzafiato; oltre il piatto mare di nuvole che copre la valle dell’Aterno svetta lunga e precisa l’intera catena del Gran
Sasso, nella luce dell’alba avanzata il Corno Grande e tutte le altre grandi vette disegnano profili familiari nel pallido cielo della nuova
giornata , è uno spettacolo suggestivo e inaspettato che ha meritato una sosta. Raggiunti i piani di Pezza proseguiamo verso la cava abbandonata,
prendiamo la strada brecciata bordeggia la piana nel lato Sud fino a raggiungere i piani del Ceraso, parcheggiamo in corrispondenza del curvone
un chilometro circa prima del vado omonimo, era intenzione di percorrere un anello e tornare dal vallone del Ceraso che si trova esattamente
dalla parte opposta. Vado del Ceraso lo si raggiunge su strada brecciata e in leggerissima salita, l’imbocco della Costa dei Vecchi si trova
esattamente sul valico, una palina indica il Magnola a quattro ore, forza e coraggio. Si parte alti già intorno quota 1550m.
Il limite della faggeta è un centinaio di metri sopra, il primo tratto della larghissima dorsale è in leggera salita, un pratone basso, tanti
i segnali bianco rossi sulle pietre che spuntano dal terreno per delineare una traccia che a terra quasi non si vede; si entra nel bosco dove
invece la traccia è molto evidente e sempre ben segnalata dalle decisamente troppe bandierine bianco-rosse poste sugli alberi, in alcuni tratti
se ne riescono a vedere contemporaneamente fino a sei, una ogni quattro o cinque metri e anche meno.
D’accordo voler portare gente in montagna e renderla sicura ma così si esagera.
Poche decine di minuti dentro la faggeta, brevi i tratti fitti e molti invece gli slarghi che permettono vedute via via più ampie sui piani
di Pezza e sulla dorsale fino al Rotondo.
Il sentiero dentro la faggeta è evidentissimo, le bandierine bianco-rosse continuano ad imperversare, sono quasi inquinanti, una ogni pochi metri,
non servivano proprio; un breve tratto poco più ripido e con poche svolte e si esce dalla boscaglia, si inizia a cavalcare la bella costa dei
Vecchi, nei primi tratti più sottile e varia poi più larga segue un crinale molto evidente che lentamente sale di quota (+40 min).
La vista si fa notevole e spazia lontano, solo ad Ovest è bloccata dalle coste rocciose della Cimata della Roscia, fanno parte dei monti della
Magnola, anticipano la vetta vera e propria un chilometro e mezzo più in là in direzione Sud-Est, da qui solo parzialmente visibile. Bellissima
la catena del Gran Sasso che svetta dietro il monte Rotondo e sopra la piana delle Rocche e interminabile la lunga pagina inclinata del Sirente,
che da questa posizione, come con molta fantasia ha definito Marina, sembra una grande onda che si sta per arricciare e rompere verso Est.
Per varie gobbe si raggiunge quota 1900m, si sfiora il monte delle Lenzuola (e purtroppo gli impianti sciistici), si dominano e si iniziano a
costeggiare direzione Nord i campi della Magnola, un grosso avvallamento ondulato che si chiude sul versante opposto ai piedi dei ghiaioni; una
sinuosa traccia sempre evidente scorre tra le basse gobbe, le bandierine bianco-rosse ogni venti metri, camminare somiglia a passeggiare e gusta
guardarsi attorno; in lontananza, a chiudere i campetti della Magnola è evidente il traverso che taglia fino a raggiungere la dorsale, a dire il
vero è molto evidente anche una sottilissima traccia che lo stesso sale fino sulla dorsale, inizia sul versante opposto un chilometro prima, sale
traversando i ghiaioni, molto interessante la linea di salita, si perde un po' nel tratto alto quando si inerpica per sbucare in cresta ormai
prossima alla prima cima. L’abbiamo osservata e siamo stati molto tentati dal seguirla, ben formata, evidentemente frequentata, forse impegnativa
soprattutto in alto ma sicuramente fattibile, una tentazione ma che per la solita pigrizia e gusto della leggerezza non ci ha convinto, motivo per
cui abbiamo continuato a seguire il sentiero n° 10.
Sbuchiamo in cresta un centinaio di metri più a Sud del vado di Roscia Grande (+1.30 ore), oltre si apre l’enorme valle della Genzana che si chiude
sulla dorsale di Costa Stellata, ancora oltre e sopra si ergono le familiari e massicce sagome della Cimata di Fossa Cavalli, del monte Cafornia e
del monte Velino, profili molto familiari. Prendiamo a sinistra verso Sud, ci si alza su svariati tornanti che prendono quota sempre tenendoci su
filo di cresta, molto evidente tutto il sentiero che abbiamo fin qui percorso, bella la linea della costa dei Vecchi e ancora più entusiasmanti gli
orizzonti lontani, sempre gli stessi ma più vasti e chiari. Salite le due cime che formano le rocciose pareti che hanno dominato quasi tutta la salita
si intravede la croce di vetta del Magnola, la cima è spostata verso Sud-Est dopo una ulteriore larga sella.
Scendiamo e risaliamo la sella e arrivare alla croce è cosa da poco (+ 1 ora), in vetta la croce è stata spostata sulla linea della dorsale, un tempo
era un po' più in là, vero Est, sopra uno sperone pochi metri sotto la vetta, mi ero sempre chiesto come mai avessero preferito quella posizione, ho
sempre pensato per una questione di visibilità dalle piste da sci. Un vento freddino e le nuvole che si sono chiuse non ci hanno fatto godere la vetta,
ci siamo abbassati sulla forcella dove era prima la croce per ripararci e almeno il vento è cessato; eravamo soli e ci siamo goduti il silenzio e la
vista, a parte le piste sotto che hanno devastato completamente la valle, il Sirente e la lunga dorsale del Gran Sasso dominavano gli orizzonti, la
seconda è rimasta scoperta dalle nuvole e illuminata dal sole; a Sud si intuiva la Majella mentre a Sud-Ovest un continuo di valli ed elevazioni si
confondevano nella nebbia tanto da somigliare ad un mare agitato, erano le montagne del parco.
Non mancano nemmeno oggi i cavalli al pascolo sul pendio che scende lento verso Ovest, risaltano le scure sagome sulla azzurra caligine che copre
la piana di Avezzano, lo stesso risalta il profilo del diruto rifugio Panei che per sfondo si è scelto il Cafornia.
Dalla vetta scorgo una traccia che scende dalla dorsale fin sulle piste, un chilometro più a Sud sulla cresta che scende verso Ovindoli su una
piccola sella inizia a traversare i ghiaioni e con profilo rettilineo atterra nei pressi dell’ultimo pilone degli impianti; così si cambiano i
progetti e da lì sarei voluto scendere per tornare indietro, poi un po' di rilassatezza e la voglia di entrambi di ripercorrere la val Ceraso
hanno fatto si che la nuova tentazione venisse abortita con la stessa velocità con cui si è palesata.
Riposati, rifocillati e anche un po' infreddoliti decidiamo di ripartire, il primo tratto di discesa è per la stessa via dell’andata, veniamo
sferzati da un vento teso e freddo che ci porta i primi fiocchi di neve della stagione, grumi piccoli e duri si aggrappano ai pile e ci svolazzano
intorno, la sorpresa è tanta e dura poco perché smette quasi subito; dove possibile tagliamo i pendii per non seguire il filo di cresta fino al vado
di Roscia Grande (+1.20); da qui abbiamo imboccato il sentiero 10A e con un traverso poco evidente siamo entrati nel vallone del Ceraso, un sentiero
che avevamo percorso una volta in salita e che ricordavamo come un isolato ambiente incastrato tra una intricata faggeta e i costoni che scendono dal
vado. Una serie di traversi e qualche tornantino, il profilo del Sirente sempre davanti inesorabilmente viene chiuso dalla dorsale di costa Cerasa,
continuiamo a scendere fino ad atterrare nel vallone, sembra quasi una enorme lunga dolina, non si può non rimanere colpiti dall’isolamento, dal
silenzio e dai colori di questo piccolo lembo del Velino; è breve il passaggio dentro il vallone, nelle vicinanze di un tondo sperone nella parte
Sud della valle si imbocca la ripida discesa all’interno della faggeta che molto velocemente fa perdere quota. Quando il pendio diminuisce la piana
non è lontana, presto si palesa oltre la fine della faggeta dove già a poco meno di un chilometro si intuiscono le auto parcheggiate; tra noi e l’auto
un soffice prato che percorriamo lentamente quasi a non voler far finire la giornata (+1 ora). Familiare questo angolo dei piani di Pezza come sono
familiari i profili tutto in torno, li abbiamo percorsi quasi tutti, per tanto tempo queste le abbiamo sentite come le nostre montagne mentre oggi lo
sono un po' meno; sarà per questo forse che la sgroppata di oggi ci ha appagato e soddisfatto così tanto, una sorta di ritorno a casa. Quante volte
dico di risentirsi a casa in montagna? Spesso quando siamo sui Sibillini, molte volte quando si ritorna su una montagna da cui siamo stati lontani da
tanto tempo, mi sa che è la montagna a creare quel senso di casa, casa è dove stai bene, forse le montagne sono anche casa. Si è così, la montagna è casa.